Provate a guardare nella pagina ITINERARI/MONTAGNA/PIEMONTE: abbiamo appena inserito due o tre proposte per delle gite che a noi sono piaciute; il Monte Niblè 3345 m, la Rocca d'Ambin 3385 m, la punta Ferrand 3345 m solamente per citarne qualcuna.
Se poi non vi basta, provate a guardare le proposte dell'amico Fede sul suo sito:www.fedececile.it:
Il 31 luglio 1954 la spedizione italiana organizzata dal CAI raggiungeva con Lino Lacedelli e Achille Compagnoni la cima della seconda montagna della Terra. Esito felice anche per la spedizione mista italo-pakistana, denominata "K2 60 years later", che sabato scorso ha portato in vetta 11 alpinisti
l 31 luglio1954, alle 18 locali, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni piantarono la bandiera italiana sulla cima del K2. Fu un successo straordinario, frutto di una organizzazione impeccabile, che vide impegnato in primis il Club Alpino Italiano. Ma l'organizzazione e la disciplina imposta dal capo spedizione Ardito Desio non sarebbero bastati senza la dedizione dei 13 alpinsti che attrezzarono lo sperone degli Abbruzzi campo dopo campo e consentirono a Lacedelli e Compagnoni l'ultimo balzo dalla tenda posta a 8150 m alla vetta. Così come va ricordato il contributo fondamentale di Walter Bonatti e Amir Mahdi che trasportarono le bombole d'ossigeno per l'ascesa finale affrontando poi un bivacco a 8100 metri.
Dopo la gloria e l'entusiasmo, arrivarono le polemiche, la battaglia condotta da Walter Bonatti per vedere riconosciuta la propria verità, espunta dalla versione ufficiale. La versione di Bonatti venne poi sostanzialmente recepita dal CAI nelle revisioni storiche del 1994 e 2004.
L'ascesa del 1954 è stata e continua a rappresentare una grande impresa anche se il tempo delle spedizioni nazionali e il paradigma delle salite con bombole di ossigeno e con abbondanza di uomini e mezzi sono superati nell'alpinismo attuale.
L'importanza storica della spedizione del 1954 è confermata dal fatto che a 60 anni di distanza è stata organizzata una spedizione mista italo-pakistana, chiamata K2 60 years later che ha ripercorso la prima via di salita, senza uso di ossigeno. Il 26 luglio 6 pakistani (Hassan Jan, Ali Durani, Rahmat Ullah Baig e Ghulam Mehdi, Ali e Muhammad Sadiq) e 4 italiani (Michele Cucci, Tamara Lunger, Klaus Gruber, Giuseppe Pompili) hanno raggiunto la cima, in una giornata fortunata che ha visto 32 alpinisti di varia nazionalità raggiungere la vetta.
“Queste due imprese si collocano in contesti totalmente diversi”, ha commentato il Presidente generale del CAI Umberto Martini. “E' cambiata molto l'attrezzatura, oltre alle condizioni di salita, ma quella di sabato scorso resta una grande impresa, per la quale il CAI si complimenta con i protagonisti”.
Martini ha poi sottolineato che, pur cambiando il contesto, i tempi e i protagonisti, “lo spirito dell'alpinismo è rimasto immutato in tutti questi anni. Se è vero che la montagna unisce, il mondo dell'alpinismo, unito, si deve congratulare con i ragazzi che hanno raggiunto la vetta in questa speciale ricorrenza”.
La passione per il volo, la missione del soccorso in quota: non voglio smettere di sognare
Ecco il titolo del nuovo libro dell'alpinista italiano, appena tornato dell'esperienza invernale sul Nanga Parbat, che stando alle sue parole, lo porterà ancora l'anno prossimo sulla stessa montagna, per tentare di nuovo l'impresa, ad oggi non ancora riuscitagli.
Con l’elicottero a sfiorare le più remote e pericolose pareti verticali dell’Himalaya, per salvare vite umane: Simone Moro racconta la più toccante e nobile delle sue imprese estreme. “Il 26 dicembre del 1997, il giorno in cui fui soccorso, realizzai molte cose sul ruolo dell’elicottero e dei piloti in alta quota. La prima, e più importante, è che mi avevano salvato la vita.” È il momento più tragico della vita di Simone Moro – quando scese sanguinante dall’Annapurna, dove una valanga gli aveva strappato via per sempre i suoi due compagni – ma anche quello in cui nasce la passione intensa e travolgente che racconta in questo libro. Difficile definirla: è un mix che unisce la vertigine del volo, il richiamo delle vette più alte della Terra, la sfida con se stessi e il desiderio di aiutare gli altri. Simone ha saputo metterla in pratica con grande concretezza, acquistando di tasca propria un elicottero (non proprio una spesa da fare a cuor leggero per un privato che non sia un magnate…) e organizzando un servizio di elisoccorso in Nepal rivolto soprattutto alle popolazioni locali delle valli più remote. Così, unendo conoscenza della regione himalayana, esperienza di scalatore e competenza di pilota, ha potuto e potrà salvare tante vite, messe a repentaglio, in quell’ambiente affascinante e talvolta ostile, da una banale frattura o da un parto difficile. È così che, come sottolinea Reinhold Messner nella prefazione, Simone Moro – pur proseguendo tuttora nella sua strabiliante carriera alpinistica – ha trovato un senso per il suo presente e per il suo futuro.
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