Tom Ballard ed il suo capolavoro

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Alla fine il progetto è stato completato! Tom Ballard ha completato Starlight and Storm, l’ambizioso, ma a questo punto realizzato progetto di affrontare in un solo inverno le sei grandi pareti nord delle Alpi. Ci è riuscito proprio al termine della stagione fredda, il 19 marzo, come sempre in solitaria, senza proclami o pubblicità, un gruppo di amici ed una grande determinazione. Diventa così il primo alpinista a scalare in solitaria e durante l’inverno tutte e sei le grandi nord delle Alpi. In ordine di salita: Cima Grande di Lavaredo, Pizzo Badile, Cervino, Grandes Jorasses, Petit Dru e Eiger. Scriveva Tom Ballard presentando l’idea: “L’ispirazione di questo progetto nasce principalmente da due libri ‘Starlight and Storm’ e ‘A Hard Days Summer’. Il secondo dei due è stato scritto da mia madre, dopo essere diventata la prima persona in assoluto, tra uomini e donne, ad aver salito tutte e sei le Nord in estate. Ero con lei in quel periodo. Inconsciamente è lì che deve essere nato questa idea. Un po’ della sua passione ed energia per questo progetto devono essere passate a me”. Madre e figlio hanno compiuto un’impresa storica, che li rende ancor più assimilabili: lei nell’estate del 1993 e lui nell’inverno 2014/2015, hanno salito le pareti nord delle Alpi in solitaria e in un’unica stagione. Non bisogna dimenticare la biografia di sua madre, Alison Hargreaves. Nel 1995 era diventata la prima donna ad aver scalato l’Everest senza ossigeno e in solitaria, fatto che la rese una delle più forti alpiniste della storia. Morì pochi mesi dopo, il 13 agosto, sul K2 a soli 33 anni, a causa di una violenta bufera che uccise in totale sette alpinisti.

Questo il suo racconto diretto dell’ultima salita, l’Eiger, ritratto perfetto di questo grande uomo, ancora prima che alpinista! Ricordiamo che è andato in cima dalla via del 1938, quella aperta da Andreas Heckmair, Ludwig Vörg, Fritz Kasparek e Heinrich Harrer, naturalmente sulla parete nord della montagna: 

Per una volta non ho fame. Molto insolito. Normalmente ho sempre fame. Qualcosa deve essere sbagliato in me! Dobbiamo iniziare il nostro viaggio verso l’Eiger e la gola mi fa male, mi fa male ovunque. Riesco a malapena a camminare! Mentre ci dirigiamo verso la ‘terra dai fiumi di latte e denaro’, tutto quello che voglio fare è dormire. Ci fermiamo e chiudo gli occhi. Tre ore più tardi mi sveglio e proseguiamo. La stessa storia la mattina successiva quando arriviamo a Grindelwald. Dormo qualche ora e poi preparo lo zaino. Abbiamo parcheggiato il furgone a Gletscherschlucht, l’unico parcheggio gratuito a Grindelwald! Un angolo freddo situato ai piedi del massiccio dell’Eiger. È un posto che conosco bene. Nascosta tra gli alberi si trova una ripida parete, piena di molte delle mie strapiombanti e difficili vie di drytooling. Abbiamo l’appuntamento con Elena e Angel di Kottom Films che mi hanno seguito quest’inverno. La Jungfraubahn è stata molto generosa, prestandoci Martin per farci da guida ed aiuto generale anche se viene da Wengen! Prendiamo i treni fino all’Eigergletscher. Io giro l’angolo per bivaccare in solitudine, ai piedi della parete ovest. Gli altri si dirigono verso valle. Giovedì mattina albeggia presto. Sono molto riluttante a lasciare il calore del mio sacco a pelo. Con passi pesanti arranco verso la base della parete. Conosco bene l’Eiger. Ho arrampicato qui in ogni stagione dell’anno. Aperto nuove vie. Effettuato prime libere. Fatto delle prime invernali di vie esistenti. ‘Nuotando’ sulla polvere sopra roccia friabile fino a rimanere appeso sugli skyhooks su pareti lisce. Ma non avevo mai salito la classica via del 1938. L’Eiger ha una varietà impressionante di stili, c’è davvero qualcosa per tutti. Ahimè, eccomi qui, ore 07:39, inizio la salita. La parete torreggia minacciosamente sopra di me. Seguo le orme di chi mi ha recentemente preceduto, i passi vanno di qua è di la, su e giù. Sempre alla ricerca della via più facile. Forse è un’arte perduta, quella di trovare la via di minor resistenza, la linea di debolezza. Qualcosa di cui i pionieri di un tempo erano maestri. Oggi si cerca la ‘diretta’ o ‘l’estremo’! Penso che abbiamo perso qualcosa. La ‘Fessura difficile’ è certamente all’altezza del suo nome! La ‘Traversata Hinterstoisser’ è un eccitante traverso con corde fisse malridotte. Il ‘Canalino ghiacciato’ è esattamente come dice il suo nome! Il ‘Secondo nevaio’ porta al ‘Bivacco della morte’. Hmm, meglio non dormire qui. Il ‘Terzo nevaio’ è breve e porta alla ‘Rampa’. In realtà assomiglia più ad un camino diagonale. Un trio di transilvani allegri mi lascia passare. Mi dicono che non hanno alcuna fretta. Sorridendo mi spiegano che pensano di rimanere lì ancora per un po’. Piuttosto loro di me! Fortunatamente il ‘Canalino della cascata’ è asciutto. La ‘Traversata degli Dei’. Mio Dio! L’abisso morde i miei talloni. Il famoso ‘Ragno bianco’. Mi sento come una mosca intrappolata in una ragnatela, lotto per districarmi. Le ‘Fessure terminali’ sono pieno zeppe di ghiaccio. Le picche entrano rassicuranti nel ghiaccio. Se solo i miei piedi mi rispondessero. Centimetro per centimetro guadagno lentamente il bianco accecante del ‘Nevaio sommitale’. L’angolo cambia, diventa più facile. Ma la mia stanchezza aumenta. Le orme, lasciate da un amico guida con il suo cliente, mi seducono verso l’alto. Faccio alcuni passi, poi mi fermo. Ancora altri passi, mi fermo di nuovo. La Mittellegigrat, una cresta a forma di coltello, è un spettacolo. Manca soltanto lo sprint finale. Tutt’altro! Continuo e dopo cinque ore e trentotto tortuosi minuti sono finalmente in cima. La cima non soltanto dell’Eiger. Ma il progetto di un inverno. Di un sogno di una vita. Tre mesi. Dalla congelata basa della Cima Grande di Lavaredo, passando per gli ‘oziosi’ mesi di gennaio e febbraio per poi affrontare le ultime tre frenetiche salite entro due settimane! Ahh, ecco perché sono così stanco! Una cima dove mia madre ha trascorso una fredda notte, con me dentro di lei come feto, dopo aver salito la stessa via. Una cima che ha portato tanta felicità e gioia a mia sorella quando salivamo il versante ovest, per poi scendere, io con gli sci e lei con lo snowboard. Non è soltanto la stanchezza però. Ho un bruttissimo raffreddore, dai drammatizziamo, diciamo che è ‘da pericolo di vita’ 😉 L’ho preso probabilmente sul bus a Chamonix, o sulla funivia del Grand Montets. Stare con la gente non mi è salutare, penso tra me e me. Meglio in montagna con la pace, tranquillità e nessuna coda. Ahh, beatitudine! I simpatici polacchi sono gentili. Mi dicono “abbastanza veloce per essere a-vista”. Ma sono deluso con la mia lentezza. Dovrei già essere giù al Eigergletscher, mangiando il loro delizioso cioccolato fatto in casa! Mi riposo un po’ prima di iniziare la discesa. La parete ovest è un posto pericoloso e ne ho una conferma quasi immediata quando, tragicamente, proprio davanti a me uno sciatore cade e muore. Avevo appena incontrato lui ed il suo amico in vetta. Li avevo salutati amichevolmente la sera prima mentre si avvicinavano al loro bivacco, non lontano dal mio. Vedo schegge del casco in frantumi mentre scendo lentamente. Più in basso, il corpo stesso. Tranquillo nella sua immobilità. Ci ricorda che la vita può essere crudele. La montagna è un’amante difficile. Ho caldo ma sono contento. Smantello la tenda e ritorno alla ‘civiltà’, l’Eigergletscher! Ma aspetta, la troupe e mio padre sono giù a Kleine Scheidegg! Martin mi saluta e bevo acqua e cioccolato in ugual misura fino al loro ritorno. Dopo lunghi complimenti prendiamo il treno, lento ma panoramico, giù a valle. Ci salutiamo calorosamente. Mio padre ed io dormiamo nel nostro furgone ancora una volta. La mia gola stringe. Mi sento terribile. Il mio progetto invernale è giunto al termine. Ma invece di sentirmi realizzato, sento un vuoto leggero. Che cosa viene dopo? Comprenderò il mio successo fra un paio di giorni, quando mi sarò riposato. E quando mi sentirò di nuovo umano! Un sorriso si diffonde lentamente sul viso, di un sogno realizzato. Certamente è stato un difficile giorno d’inverno.”

                                                                                                                                                                di Tom Ballard 

Ecco l’elenco completo delle salite effettuate da Tom Balard e per ognuna è disponibile il racconto cliccando sopra il nome della cima:


Cima Grande di Lavaredo, parete nord
Via Comici – Dimai
Prima salita: Emilio Comici, Angelo Dimai, Giovanni Dimai, 13 – 14 agosto 1933
Tom Ballard: 21 e 22 dicembre 2014. 1 bivacco in parete.

Pizzo Badile, parete NE
Via Cassin
Prima salita: Riccardo Cassin, Gino Esposito, Mario Molteni, Vittorio Ratti, Giuseppe Valsecchi, 14 – 16 luglio 1937
Tom Ballard: 6 e 7 gennaio 2015. 1 bivacco in parete.

Cervino parete nord
Via Schmidt

Franz e Toni Schmid, 31/07 – 01/08/1931
Tom Ballard: 10 febbraio 2015. 2 ore 59 minuti

Grandes Jorasses, Parete Nord
Via Colton – Macintyre 
Prima salita: Nick Colton, Alex Macintyre 6 – 7 agosto 1976
Tom Ballard: 08/03/2015. 3 ore 20 minuti

Petit Dru, Parete Nord 
Via Allain – Leininger
Prima salita: Pierre Allain e Raymond Leininger, 1935
Tom Ballard: 14/03/2015. 8 ore

Eiger, Parete Nord
Via Heckmair
Heinrich Harrer, Anderl Heckmair, Fritz Kasparek e Wiggerl Vörg., 07/1938

 (Fonti: Tom Ballard, planetmountain.com, montagna.tv)

Piolet d’Or 2014-2015: le nomination

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La traversata del Fitz Roy di Alex Honnold e Tommy Caldwell, la nuova via sulla Nord del Hagshu, in India, aperta dagli sloveni Ales Cesen, Luka Lindic e Marko Prezelj, e infine la nuova via al Thamserku, in Nepal, ad opera dei russi Alexander Gukov epiolet d'or Alexey Lonchinskiy. Sono tre le nomination della 23esima edizione dei Piolet d’Or: gli “oscar dell’alpinismo” verranno consegnati tra il 9 e il 12 aprile a Courmayeur e Chamonix.

Le finaliste della 23esima edizione dei Piolet d’Or sono state svelate poche ore fa. Nonostante la lunga “big list” iniziale, in cui venivano prese in considerazione 58 salite compiute nel 2014, solo 3 sono state candidate alla vittoria della Piccozza d’oro.

Due sono salite himalayane, su montagne di 6000 metri, una è patagonica, e del resto l’impresa di Tommy Caldwell e Alex Honnold non poteva non essere considerata tra le migliori dell’anno passato. I due alpinisti statunitensi hanno compiuto infatti la traversata integrale del Gruppo del Fitz Roy: tra il 12 e il 16 febbraio sono saliti in vetta all’Aguja Guillaumet e hanno proseguito sulla cresta che la unisce all’Aguja Mermoz e poi al Cerro Fitz Roy, all’Aguja Poincenot, al’Aguja Rafael Juárez, all’Aguja Saint-Exúpery e infine all’Aguja de l’S. Circa 5 chilometri complessivi, con uno sviluppo verticale di 4000 metri, salendo da nord e scendendo da sud.

La prima salita della parete Nord del Hagshu, Himalaya indiano, è un’altra candidata al Piolet d’Or. È stata compiuta dagli sloveni Marko Prezelj, Luka Lindic e Aleš Cesen: i tre l’hanno “soffiata” agli inglesi Mick Fowler e Paul Ramsden, anche loro interessati alla stessa parete e impegnati sulla stessa montagna, su cui hanno alla fine aperto a loro volta una via sulla Nord Est. Ricordiamo che Marko Prezelj è un pilastro storico dell’alpinismo sloveno, nonché vincitore di due Piolet d’Or.

Infine ancora l’Himalaya, questa volta nepalese, dove i russi Alexander Gukov e Alexey Lonchinskiy hanno aperto una nuova via sulla parete sud ovest, alta 1.620 metri, del Thamserku una cima di 6.618 metri.

Le tre nomination sono state selezionate da una corposa giuria internazionale, composta da vere “autorità” del mondo verticale. I giurati erano l’italiano Hervé Barmasse, il giapponese Kazuki Amano, il russo Valeri Babanov, il francese Stephane Benoist, l’inglese Andy Houseman, l’americano Michael Kennedy, la tedesca Ines Papert, il canadese Raphael Slawinsky e lo sloveno Andrej Stemfelj.

Durante la manifestazione, giunta alla 23esima edizione, uno spazio sarà riservato alla celebrazione dell’Età d’oro dell’alpinismo, in occasione dei 150 anni dalla prima salita di alcune montagne ‘simbolo’ dell’arco alpino, come il Cervino, le Grandes Jorasses, l’Aiguille Verte. Infine, il Piolet d’Or alla carriera-Premio Walter Bonatti quest’anno è stato assegnato al britannico Chris Bonington, classe 1934, che tra gli anni ’60 e gli anni ’80 ha compiuto imprese sulle Alpi e in Himalaya. Nell’albo d’oro succede allo stesso Bonatti e a Reinhold Messner, Doug Scott, Robert Paragot, Kurt Diemberger e John Roskelley. L’ambito riconoscimento gli sarà consegnato sabato 11 aprile, alle 21, nella serata conclusiva dei Piolets d’Or in programma al Palanoir di Courmayeur.

 

(fonte: montagna.tv)

150 anni dalla prima salita del Cervino

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Cervino NE

 

150 anni della prima salita del Cervino: GIOACCHINO GOBBI ci racconta il suo punto di vista

Quest’anno 2015 festeggiamo i 150 anni dalla prima salita del Cervino e mi si chiede di raccontare come un uomo del Monte Bianco veda il Cervino”.

Quella che vi presentiamo è dunque la visione di Gioacchino Gobbi, patron di Grivel, storica azienda di attrezzatura d’alpinismo, fondata nell’Ottocento proprio ai piedi del Bianco, a Courmayeur.

“Dalla vetta del Monte Bianco si vede molto bene il Cervino e viceversa. Chi sale in alto ha la fortuna di vedere le montagne dal loro vero livello e non solo dal basso; questo rende ogni montagna ben diversa dalle sue sorelle. Chi arriva a Courmayeur si trova di fronte ad una grande bastionata lunga 30 kilometri la cui parte più alta è il Monte Bianco, solido, possente e imperioso; chi arriva al Breuil è colpito dalla grande piramide, sola, slanciata e leggera del Cervino. Niente di più diverso di queste due cime.

Tra le due date della prima salita, 1786 e 1865, è compresa la prima grande epoca dell’alpinismo: quella delle “conquiste”. Tra le due date è compreso il grande cambiamento: il 1786 giustifica le salite con motivazioni scientifiche e di scoperta (sul Monte Bianco fu subito portato un barometro) e il 1865 ufficializza il lato sportivo ed estetico dell’alpinismo senza altra giustificazione (sul Cervino non salì nessun barometro).
Nel 1786 c’era il Regno di Sardegna, nel 1865 era da poco nato il Regno d’Italia. Courmayeur è un vecchio villaggio che risale all’epoca delle conquiste di Roma Imperiale; Cervinia è un villaggio nuovo e inventato nel 1934 da un meno fortunato “Impero” ed un Courmayeurese parlerà più facilmente di Valtournenche o userà il toponimo Breuil. L’elencazione delle differenze può essere lunga, almeno come quella delle cose che invece uniscono i due paesi.

Il patois di Courmayeur e quello della Valtournenche sono diversi tra loro, ma non troppo, e ci capiamo egregiamente senza problemi. Questa è forse la metafora più giusta per definire i nostri rapporti: non parliamo proprio la stessa lingua, non valutiamo sempre allo stesso modo, ma ci capiamo con facilità.
Ci sono stati anche momenti di tensione. Ricordiamo il 28 luglio 1882 in cui tre guide del Cervino, Jean-Joseph Maquignaz con il figlio Battista ed il nipote Daniel, salirono per primi il Dente del Gigante dopo tre giorni di preparazione e con l’uso di ogni mezzo, scale scalette pioli e picconi, per accompagnare il giorno successivo i loro clienti Sella, i fratelli Alessandro, Alfonso, Corradino con il cugino Gaudenzio. Bisogna ricordare che il Dente del gigante è la punta più caratteristica e più evidente sul profilo della catena del Bianco, e quella che si vede più distintamente da Courmayeur e che era quindi considerato “terreno di caccia privato” dalle guide di Courmayeur. In più la cima si era negata a nomi sacri dell’alpinismo come Alfred Mummery che, nemico dei mezzi artificiali, aveva rinunciato nel 1880 a proseguire sulla parete lasciando addirittura un biglietto nel quale affermava che era impossibile progredire “by fear means” cioè con mezzi leale e non artificiali.
In fondo in un giorno di festa e dopo 133 anni potremmo anche dimenticarlo!”

Articolo tratto da www.montagna.tv/cms/autore Sara Sottocornola